Da lunedì 12 settembre, scaglionate secondo i calendari scolastici regionali, si riaprono le porte di tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado. Circa sette milioni di studenti, dalla scuola dell’infanzia fino alle superiori, faranno ingresso nelle loro aule. Quest’anno appare nelle premesse diverso dagli ultimi due trascorsi. L’uscita definitiva dalla pandemia è ancora un fatto che si deve rendere concreto, ma le nuove disposizioni permettono di rientrare in classe senza l’uso delle mascherine e si elimina il distanziamento sociale, non più banchi singoli e distanziati, si ritorna quindi a stare vicini come prima della pandemia. Niente didattica a distanza, solo lezioni in presenza, nella speranza che il virus Sars-CoV-2 si sia attenuato al punto tale da non nuocere come in passato. Si spera quindi che tutto ritorni “come prima” in modo tale che la scuola ritorni a essere luogo di aggregazione sociale e riprenda la sua primaria funzione per la formazione culturale e scientifica delle future generazioni.

La ripresa della normalità nella quotidianità scolastica non fa dimenticare quelle che sono le criticità della scuola italiana: mancanza di docenti; mancanza di locali idonei allo svolgimento di lezioni in sicurezza; mancanza di aule. Soprattutto, quello che oggi manca nella scuola italiana è la certezza di una vera formazione degli studenti, le cui cause sono da ricercare in diversi fattori, conseguenza delle passate riforme del sistema scolastico, riforme che hanno solamente badato al risparmio economico. Tra questi le classi numerose, definite classi pollaio, nelle quali non si riesce a far raggiungere a tutti gli alunni una preparazione omogenea e di qualità, perché l’insegnante ha il compito di seguire e portare al successo scolastico tutti gli alunni, in particolar modo coloro che sono poco interessati allo studio, trascurando invece chi ha la volontà di apprendere e non garantendo loro un adeguato approfondimento disciplinare. Altro fattore è sicuramente la non adeguata preparazione di alcuni docenti, incaricati a insegnare discipline per le quali non sono formati, vedi ad esempio le classi di concorso atipiche, con le quali si utilizzano docenti che hanno una specifica formazione a insegnare una disciplina con la quale hanno poca dimestichezza. Sempre nell’ottica del risparmio, un docente, oltre a insegnare la propria disciplina, deve essere in grado di occuparsi di legalità, di inclusione, di competenze digitali, e chi più ne ha più ne metta. Infine, anche il miglior docente che possa esserci è insoddisfatto, perché tenuto in scarsa considerazione da una classe genitoriale, la quale pensa che il proprio figlio sia il migliore della classe, non deve essere rimproverato e non deve avere voti negativi. A tutto questo possiamo aggiungere anche il lato economico. È risaputo da tutti che i docenti, per il tempo che impiegano a preparare lezioni, correggere compiti, partecipare alle molteplici riunioni pomeridiane e per l’importante funzione educativa che svolgono, sono mal pagati e con il contratto scaduto (ultimo sottoscritto il 9 febbraio 2018), non ancora rinnovato.

Ora cerchiamo di capire qual è il lavoro di un insegnante secondo il pensiero di alcuni psicologi.
L’insegnante non ha solo il compito di verificare e giudicare l’apprendimento degli alunni. Deve aiutare ad apprendere, deve dare fiducia e coraggio, insomma, deve guidare l’alunno nel suo percorso di formazione. L’insegnante, quindi, ha immense potenzialità ma, allo stesso tempo ha un’enorme responsabilità, perché con la propria azione educativa lascia un segno indelebile in una persona che sta costruendo la sua formazione, il suo essere, la sua intelligenza, il suo pensiero e la percezione del suo talento.

Un insegnante non ha solo compiti educativi, altro compito molto gravoso è la sorveglianza dell’intera classe. Quando entra in classe e fino a quando non l’avrà lasciata, ricreazione compresa, al collega dell’ora successiva l’insegnante è responsabile del comportamento degli alunni e deve adoperarsi affinché tutto proceda secondo le regole del comportamento civile. Qualora ometta ottemperare a questo compito, allontanandosi dalla classe senza essersi fatto sostituire, e si verifichi un episodio, provocato o casuale, nel quale un alunno si faccia male o provochi un danno alla struttura o agli arredi, l’insegnante ricade nella “culpa in vigilando”, cioè nel reato di omessa vigilanza che può assumere diverse forme: da quella penale a quella civile, da quella disciplinare a quella amministrativa. L’obbligo giuridico di vigilanza da parte del docente è stabilito dagli articoli 2047 e 2048 del Codice Civile. Quest’ultimo, in particolare, stabilisce che sia loro la responsabilità relativa ai danni causati dai loro allievi durante il tempo in cui questi sono sotto la loro vigilanza. Esiste, quindi, sul piano giuridico, un obbligo di vigilanza da parte dei docenti che può tradursi in possibili responsabilità penali, per il quale lo stesso risponde personalmente. Nel caso in cui un alunno subisse o provocasse delle lesioni a un altro, il docente potrebbe, in sostanza, essere chiamato a rispondere per il reato di lesioni colpose.
Nonostante tutte le criticità e i gravosi compiti degli insegnanti, l’anno scolastico riparte con i migliori auspici e con la certezza che sarà portato a termine regolarmente e vedrà il successo formativo degli alunni, grazie alla professionalità della classe docente.

 

Dott. Chim. Rosario Saccà