Possiamo considerarla una sentenza storica. Giovedì 26 giugno la Corte d’Assise di Vicenza ha condannando undici dei 15 ex manager dell’azienda Miteni di Trissino (Vicenza), per l’inquinamento da composti perfluoroalchilici (PFAS). Il verdetto rappresenta un punto importante per la giustizia dell’ambiente e della tutela della salute pubblica in Veneto, come ha sottolineato il governatore Luca Zaia.

Parliamo di pene che in totale hanno condannato a 141 anni di carcere gli 11 imputati. Venti anni in più rispetto alle richieste dell’accusa. Durante il processo è emersa l’estensione dell’inquinamento da PFAS, che ha gravemente compromesso le falde acquifere, non solo nelle provincie di Vicenza, ma anche in quelle di Padova e Verona, minacciando la vita di circa 350mila cittadini. Nella sentenza troviamo anche l’assoluzione di quattro imputati. Il caso era emerso nel 2013, quando il ministero dell’Ambiente informava la Regione Veneto della presenza di PFAS in «concentrazioni preoccupanti» nelle acque potabili di diversi comuni. Da quel momento, una intensa battaglia si è sviluppata, condotta con determinazione dai movimenti ambientalisti, con il movimento delle «Mamme No Pfas» in prima linea.

La Corte ha riconosciuto ingenti risarcimenti per oltre 300 parti civili, inclusi privati ed enti pubblici. Il ministero dell’Ambiente ha ottenuto così un risarcimento di 58 milioni di euro. La Regione Veneto 6,5 milioni, e l’Arpa Veneto 844mila euro. Le singole persone colpite hanno ottenuto indennizzi dai 15 ai 20mila euro. Comuni, società idriche e la Provincia di Vicenza hanno anch’essi ricevuto compensazioni. Tuttavia, la sentenza ha escluso dai risarcimenti i lavoratori dell’ex Miteni, e le motivazioni della decisione chiariranno le ragioni di tale esclusione.

In questo complesso e lungo iter giudiziario, durato circa cinque anni con oltre 134 udienze, il ruolo dell’Arpav è risultato determinante. L’agenzia ha fornito un supporto tecnico-scientifico imprescindibile agli organi inquirenti e alla Procura, realizzando un lavoro meticoloso che include oltre 50mila campionamenti. Arpav ha sviluppato metodologie di analisi e modellistica idrogeologica, fondamentali per lo studio del flusso e del trasporto della contaminazione, e ha condotto una intensa attività di indagine ambientale su diverse matrici per valutare la diffusione dei PFAS.

L’intervento tempestivo di Arpav ha permesso alle autorità regionali di mettere in sicurezza l’acqua potabile della zona interessata già nel 2013, attraverso l’utilizzo di filtri a carboni attivi, una misura preventiva cruciale per la salute pubblica. L’agenzia continua il suo impegno sul sito ex Miteni, fornendo supporto tecnico-scientifico agli enti territoriali, anche in collaborazione con Ispra. Affronta sfide significative data la specificità e vulnerabilità del contesto idrogeologico del sito e la peculiarità dei PFAS, una classe di sostanze inquinanti per le quali la ricerca internazionale sta ancora definendo i parametri chimico-fisici e tossicologici. Arpav prosegue inoltre il campionamento mensile di alcuni piezometri esterni al sito ex Miteni, essenziali per il monitoraggio ambientale a valle del barrieramento idraulico in essere e dello scarico dell’impianto Taf per il trattamento delle acque inquinate.

Questa storica sentenza riconosce il reato di disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque, rappresentando una vittoria non solo per le comunità venete colpite, ma anche per tutti coloro che hanno lavorato con impegno nella ricerca della verità. Un monito chiaro sull’importanza della prevenzione e del rigoroso controllo scientifico nell’industria per proteggere il nostro ambiente e la salute dei cittadini.