Un sensore è un dispositivo analitico che trasforma un segnale chimico in un segnale analogico, elettrico, digitale, etc. Formalmente la IUPAC definisce il sensore come: “un sistema in grado di trasformare un’informazione chimica, che va dalla concentrazione di un singolo componente specifico del campione in analisi alla concentrazione di tutti i componenti l’intera matrice, in un segnale analiticamente utile”.
Un biosensore è un dispositivo analitico che utilizza un componente biologico collegato a un rilevatore fisico per l’identificazione o la quantificazione di specifici composti all’interno di un campione.

L’elemento biologico selettivo, ad esempio un anticorpo o enzima, generalmente presenta un’elevata affinità di legame e selettività per l’analita da ricercare. Nei biosensori più comuni, un elemento biologico che è stato immobilizzato su una superficie solida si lega a un analita target all’interno di una miscela campione. L’intensità dell’interazione è misurata con uno speciale trasduttore, che converte il segnale biochimico in un segnale elettrico misurabile che può essere messo in relazione con la concentrazione dell’analita (lo scopo finale per il suo utilizzo).

La principale caratteristica di un biosensore è la specificità che è garantita dall’utilizzo di recettori biologici che per loro natura intrinseca sono specifici verso particolari analiti. La specificità si definisce come la capacità di reagire solo con un determinato analita e non con altri che possono essere presenti nel nostro ambiente di misura.

Fino ad alcuni anni fa i sensori erano oggetti molto delicati, con risposte lente, spesso non reversibili, cioè potevano essere usati per poche misure, addirittura a volte erano monouso e ciò che li rendeva poco “appetibili” era che le concentrazioni di misura erano molto alte, assai lontane dai limiti prestazionali estremamente bassi di LOD e LOQ richiesti ai metodi analitici per molti inquinanti.
Attualmente, invece, la ricerca e la tecnologia hanno permesso la messa a punto di sensori e, soprattutto, di biosensori, con caratteristiche peculiari e che li rendono così diffusi quali:

– Alta sensibilità
– Velocità di misura
– Economicità
– Reversibilità
– Stabilità nell’utilizzo intensivo
– Utilizzo in campo, senza necessità di tornare in laboratorio per le analisi: quindi risposta economica e immediata.

Oggigiorno tali dispositivi sono presenti dappertutto con l’intento di migliorare la qualità della nostra vita in ogni applicazione tecnologicamente avanzata. Sono, ad esempio, un elemento essenziale per il controllo e la diagnostica in settori come la casa, l’auto, la medicina, l’automazione industriale, le telecomunicazioni, l’ambiente, l’agricoltura. I sensori trovano ormai ampia applicazione nei più svariati campi, quali il monitoraggio ambientale, l’analisi alimentare, la diagnostica medica e, più recentemente, nella rilevazione di gas tossici e di materiali esplosivi.

La possibilità di coniugare l’elevata specificità di sistemi biologicamente attivi (enzimi, anticorpi, componenti di membrana, batteri, cellule, tessuti viventi animali o vegetali) con la sensibilità e praticità dei metodi elettrochimici di analisi (potenziometrici ed amperometrici), ha aperto alla ricerca un fertile campo di indagine e portato allo sviluppo di applicazioni di rilevante interesse sia teorico sia applicativo.
Le stesse caratteristiche costruttive di un biosensore lo rendono assai specifico per molecole target e rendono possibile il suo utilizzo anche in semplici sistemi in flusso continuo, permettendo il monitoraggio e l’automazione di apparecchiature biochimiche e cliniche, di processi biotecnologici, di processi industriali e nel monitoraggio ambientale.

I biosensori vengono classificati in base alla natura del mediatore biologico oppure rispetto al tipo di trasduzione impiegata.
La classificazione in base al mediatore biologico li distingue in:
-biosensori biocatalitici o sensori enzimatici;
-biosensori chemorecettoriali;
-immunosensori, ossia biosensori basati sulle interazioni antigene-anticorpo.

La classificazione in base al tipo di trasduzione del segnale, invece, li distingue in:
– biosensori elettrochimici o bioelettrodi;
– biosensori ottici o bio-optrodi;
– biosensori calorimetrici o biotermistori;
– biosensori acustici.

 

OGGI

Oggi sono disponibili per applicazioni di monitoraggio ambientale biosensori basati sull’enzima ureasi capaci di rivelare concentrazioni nanomolari di mercurio, e micromolari di rame e cadmio. Concentrazioni a livello di ppb di atrazina possono essere efficacemente determinate con biosensori amperometrici basati sull’enzima tirosinasi. Biosensori microbici basati sul batterio Escherichia coli geneticamente modificato possono rivelare concentrazioni fino a livelli nanomolari di un insetticida e acaricida organofosforico come il parathion e di altri pesticidi. Sensori fotoelettrochimici basati su aptameri permettono di rivelare concentrazioni dell’antibiotico tetraciclina a livelli picomolari. Biosensori basati sul DNA permettono di rivelare concentrazioni del vibrione del colera fino a livelli attomolari e meno.
Sensori biomimetici basati sulla cisteina permettono di determinare mercurio fino a livelli picomolari.

C’è un altro aspetto molto importante del rapporto tra analisi chimica convenzionale e analisi effettuata con sensori chimici o con biosensori, ed è legato agli aspetti ecologici, o di green chemistry o, con un termine ormai anche troppo abusato, di sostenibilità.
Se si possono eseguire analisi in meno tempo, con meno sforzo, riducendo i requisiti per campioni e reagenti, con persone meno preparate, condensando la complessità delle informazioni al minimo livello richiesto e raggiungere gli scopi in un laboratorio minimamente attrezzato o addirittura in loco, al di fuori del laboratorio, il risparmio è evidente.

 

PROSPETTIVE FUTURE

Oggi i sensori in genere sono capaci di rilevare in maniera aspecifica molte sostanze, ovvero in maniera accurata la concentrazione di una singola specifica molecola.

Tra tanti, il problema dei miasmi legati alle emissioni diffuse delle discariche, dei siti di compostaggio e di altre attività industriali costituisce un grave problema ambientale. Sarebbe assai utile poter effettuare monitoraggi in continuo e senza rischio per i tecnici. Tuttavia, i cosiddetti nasi elettronici sono ancora molto lontani dalle performance del naso umano e soprattutto del naso dei cani o di altri animali, in quanto questi ultimi riescono a rilevare centinaia o migliaia di sostanze; i nasi elettronici, invece, sono dispositivi complessi ottenuti mettendo insieme più sensori, ciascuno specifico per una determinata molecola o classe molto ristretta di molecole; la matrice ottenuta dalle singole risposte porta a un’impronta digitale che in qualche maniera cerca di emulare il funzionamento del naso umano (o canino) e determinare la presenza solo di qualche decina o al massimo centinaio di molecole: di qui la loro ancora limitata applicazione.

Nel futuro dei biosensori la ricerca guarda soprattutto alla possibilità di rilevamento simultaneo di più inquinanti. Per esempio, di recente elettrodi prodotti mediante serigrafia hanno permesso l’identificazione parallela di estradiolo, paracetamolo e idrochinone in acqua di rubinetto; questi elettrodi potrebbero avere un’applicazione importante nell’analisi delle acque reflue.

I primi passi verso la realizzazione di un biosensore basato su alghe con due meccanismi di rilevamento distinti, elettrochimico e ottico, hanno mostrato prospettive promettenti per l’identificazione simultanea di più pesticidi in campioni d’acqua.

 

TUTTI

Tutti oggi possono acquistare con pochi euro un sensore per monitorare la temperatura e l’umidità dell’aria, la concentrazione delle sostanze organiche volatili, degli “inquinanti”. Sono disponibili sui siti dell’e-commerce apparecchi integrati per la misura della temperatura, del pH, del cloro libero, della conducibilità, che ormai costano anche meno di dieci euro, mentre la misura di questi parametri in laboratorio comporta una spesa iniziale di alcuni ordini di grandezza superiore.

Quando queste misure hanno valore ludico, o semplicemente informativo, tali sistemi sono più che rispondenti alle necessità, ma quando le misure vengono utilizzate per scopo professionale, questo può avere implicazioni anche serie.

 

E IL CHIMICO?

Il chimico ha il compito di leggere, interpretare e validare i dati che provengono dal sensore, di qualunque natura esso sia; di verificare quali siano le interferenze per quella matrice e se il sensore sia applicabile in quel determinato contesto e con quali tolleranze. Soprattutto il chimico sa e deve scegliere quale sensore, per quale matrice, per quale misura, affinché, come diceva Carlo Magno, mensurae et pondera ubique aequalia sint et iusta.

 

 

Dott. Chim. Marco Trifuoggi
Ordine dei Chimici e Fisici della Campania
Professore di Chimica Analitica
Università degli Studi di Napoli Federico II