È stata pubblicata il 19 marzo 2025 sul S.O. della Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2025 l’Intesa approvata dalla Conferenza Stato-Regioni sull’ACN per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private stipulato ai sensi dell’art. 8, comma 2, del D.lgs. n. 502/1992 tra Federfarma, Assofarm e SISAC del 6 marzo 2025. L’Accordo non apporta sostanziali novità in tema di esami diagnostici eseguibili dai farmacisti.
Si conferma quanto già previsto dall’art. 1, co. 2, lett. e), del d.lgs. n. 153/2009 e dell’art. 1, co. 2, del D.M. 16/12/2010, ovvero che è fatto divieto al farmacista di svolgere “attività di prescrizione e diagnosi, nonché il prelievo di sangue o di plasma mediante siringhe o dispositivi equivalenti”. Al farmacista viene invece consentita la possibilità di effettuare “prelievo di sangue capillare e/o il prelevamento del campione biologico a livello nasale, salivare o orofaringeo” al mero scopo di effettuare un test diagnostico mediante kit diagnostico, che restituisce in maniera automatica i valori rilevati. Tali semplici test diagnostici non si sostituiscono in alcun modo alle analisi di laboratorio, in quanto forniscono dati utili ai fini di un’autovalutazione che devono essere verificati dal medico, al quale spetta decidere se il dato comunicato sia sufficiente ed utile per la formulazione di una diagnosi corretta oppure richiedere le analisi su un campione venoso.
Nell’art. 3 comma 3 dell’allegato 4 dell’Accordo viene inoltre fatto specifico riferimento all’obbligo che ha il farmacista di fornire preventivamente informazioni adeguate al paziente sul test diagnostico da effettuare, sulla sua limitata valenza in termini di autocontrollo e sui rischi dello stesso. Quindi il farmacista ha l’obbligo di informare correttamente i pazienti sulla differenza del test diagnostico rispetto alle analisi effettuate in laboratorio su campioni di sangue venoso.
L’utilizzo di test diagnostici non prevede l’avvalersi di laboratori in quanto fornisce una rapida misura, anche in autonomia da parte del paziente, su uno o più parametri per cui viene fatto un monitoraggio di condizioni patologiche già diagnosticate tramite analisi di laboratorio. La diagnosi al fine di indagare lo stato di salute richiede invece il prelievo di sangue venoso, con esame effettuato in laboratorio ed ha procedura attraverso cui si raccoglie un campione di sangue, il cui esame è effettuato in laboratorio.
Per questo è previsto che il farmacista nel pubblicizzare le attività nei suoi locali, esponga in modo chiaro e leggibile, l’indicazione delle tipologie di prestazioni analitiche disponibili agli utenti, senza contenere dizioni che richiamino espressamente o indirettamente esami di laboratorio non eseguibili presso le farmacie. Questo al fine di creare asimmetria informativa verso l’utente ma di esplicitare in modo chiaro quello che può essere svolto nei limiti delle competenze professionali e della normativa vigente.
Il risultato del test riportato dal farmacista viene denominato nell’Accordo in questione in maniera fuorviante “referto” o attestato di esito scritto, anche in formato digitale, “debitamente firmato su carta intestata della farmacia”.
Nel documento rilasciato dalla farmacia deve essere indicato l’esito del test senza effettuare alcuna attività di diagnosi.
Il referto si riferisce generalmente alla diagnosi effettuata dal medico e non all’atto di riportare un dato numerico. Sul termine “referto” merita precisare che non si tratta in alcun modo di una certificazione analitica per l’evidente carenza dei requisiti minimi per la certificazione diagnostica come, ad esempio, l’incertezza di misura, la metodica utilizzata ecc.
Qualora il farmacista non dovesse conformarsi a quanto sopra, rilasciando comunque un certificato di analisi, o facendo intendere che il documento rilasciato all’utente costituisca certificato di analisi, oltre arrecare nocumento alla salute dei cittadini, potrebbe incorrere nell’esercizio abusivo della professione di chimico con violazione degli articoli 348 e 590 del Codice penale.