Il mondo delle professioni italiano, rappresentato dalla RPT (Rete Professioni Tecniche), di cui la FNCF fa parte, e dal CUP (Comitato Unitario delle Professioni) apprendono che all’interno del Decreto Semplificazioni è stato introdotto un emendamento che prevede quanto segue: a docenti e ricercatori a tempo pieno, è “liberamente consentito, indipendentemente dalla retribuzione, lo svolgimento di attività extraistituzionali realizzate in favore di privati, enti pubblici ovvero per fini di giustizia, purché prestate, quand’anche in maniera continuativa, non in regime di lavoro subordinato e in mancanza di una organizzazione di mezzi e di persone preordinata al loro svolgimento“.
Nello stesso tempo in cui vengono respinti dal Parlamento emendamenti proposti dalle professioni, indirizzati a migliorare leggi esistenti e ad introdurre strutturali processi di semplificazione, “ne viene approvato uno che nulla ha a che fare con la semplificazione e che va nella direzione di aumentare il discrimine tra le diverse categorie di dipendenti pubblici e degli stessi professori universitari”. Un emendamento che RPT e CUP considerano sconcertante e dannoso per il mondo delle professioni e per l’Università stessa.
L’attuale emergenza sanitaria ha mostrato con totale evidenza la profonda differenza tra chi ha un lavoro pubblico e chi svolge una attività professionale in forma autonoma. Per i primi la pandemia non ha prodotto alcun cambiamento nel regime economico, di tutele e di sicurezze sociali. Per i secondi, cui è stato negato anche l’accesso al contributo a fondo perduto, a più voci e momenti richiesto, si sono aperti scenari assolutamente critici, per non dire drammatici, che li hanno gettati nel panico dell’insicurezza e della mancanza di risorse.
In una Italia costretta ad affrontare una crisi mai vista in termini di lavoro si favorisce un provvedimento che aumenta la possibilità di lavoro a chi già ce l’ha e sottrae importanti quote di lavoro per il mondo delle libere professioni.
Senza contare che in questo modo viene messa una pietra tombale sulla ricerca di soluzioni che garantiscano un giusto rapporto tra l’esigenza che chi insegna abbia concrete esperienze sul campo da trasferire agli studenti ed il rispetto per le attività professionali svolte in maniera autonoma. Soluzioni per le quali il mondo delle professioni ha avanzato concrete proposte, nella necessaria diversità tra le discipline oggetto di insegnamento.
“Si tratta di una decisione sconcertante – riferiscono RPT e CUP – che consentirebbe ai professori e ricercatori universitari di effettuare attività extra istituzionali senza alcun controllo da parte dell’Università di appartenenza e senza alcun limite di compenso. In palese contrasto con la normativa previgente che intende interpretare. Senza contare il fatto che si consente ad alcuni lavoratori di entrare nel mercato senza rispettare le regole e sottostare alle incombenze cui invece sono sottoposti i liberi professionisti ad esclusiva tutela della collettività”.
Si parla di un provvedimento che è stato giustificato come interpretazione autentica di una norma di dieci anni fa (comma 10 dell’art.6 della legge n.240 del 30.12.2010) e ciò fa pensare alla necessità di porre rimedio rispetto a determinati comportamenti scorretti registrati nel passato e che, in ultima analisi, finisca col mascherare l’ennesima sanatoria.
CUP e RPT si fanno portavoce di una forte protesta da parte del mondo professionale.
Da evidenziare che “appare sorprendente, tra l’altro, che il ministero dell’Università – spiegano ancora RPT e CUP- non abbia nulla da dire in merito, considerando l’alto rischio che tale estensione possa andare a scapito dell’attività di docenza, senza tenere conto della discriminante che determina tra docenti universitari a tempo pieno e a tempo definito e dell’aggravio di costi per lo Stato, perché la prima conseguenza di tale emendamento sarà che molti docenti a tempo definito passeranno a tempo pieno. Diversamente da quanto asserito, quindi, non si tratta di un provvedimento ad invarianza di costi per lo Stato. Per questi motivi, i professionisti italiani intendono protestare duramente e auspicano che, in extremis, il Parlamento possa tornare sui suoi passi”, concludono le organizzazioni dei professionisti.
Comunicati stampa
Roma, 3 settembre 2020